martedì 3 luglio 2012

2 luglio, solo l'inizio


Faceva caldo ieri davanti ai palazzi di Poste Italiane. Da tutta Italia i lavoratori degli appalti postali si sono riuniti davanti alla sede centrale di Poste, nel quartiere Eur di Roma, per dimostrare il proprio disagio  nei confronti di un'operazione di tagli biechi ed indiscriminati che la società sta portando avanti. C'è chi, come me, come noi di Pistoia, La Spezia e quasi tutte le città dove opera Transystem, da ieri è in cassa integrazione ed ha perso il lavoro. C'è chi è dipendente di una agenzia che ha avuto una proroga fino a settembre, c'è chi ha buone speranze di continuare a lavorare, anche se in condizioni peggiori.
Ci sono le bandiere, i fischietti, le magliette, ci sono i volti, che parlano da soli.
Ci sono soprattutto persone che da trenta anni svolgono questo lavoro impeccabilmente, ci sono persone, di qualsiasi età, che troveranno difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro, che saranno facile preda di una stagione di crisi ancora aperta e pronta a falciare vittime.
Poi ci sono i quadri dirigenziali di Poste Italiane.


Ci ricevono con il sorriso, loro sono appena in due, noi una delegazione di sette o otto, da tutta Italia. Prendono la parola dopo aver ascoltato il primo intervento di Nicola Di Ceglie, ed iniziano a parlare di numeri. Percentuali di volume, fatturato, quantità di zone, eccedenze, numeri.
Si vede, faticano a trovare dietro i numeri le persone. Sono lì fuori le persone. E qui davanti a voi, li vedete, ci sono. Il problema è sociale. Il progetto di Poste è macelleria sociale.
Viene detto, denunciato, da ognuno di noi vengono evidenziati punti differenti che compongono un quadro clinico, esatto, di una verità lampante: Poste ha necessità di usufruire della nostra manodopera, noi conosciamo il lavoro, e non siamo sostituibili da nuove assunzioni trimestrali, Poste deve rispettare le idee che erano alla base degli accordi presi e che prevedevano il mantenimento dei livelli occupazionali, Poste è un'azienda di azionariato statale, e come tale deve ragionare, senza creare cordoni assistenziali, ma tutelando l'occupazione. In ultimo, Poste Italiane ha un trend di crescita positivo, ed è discutibile che sia proprio il settore degli appalti una perdita.
In mezzo ai numeri e ai voli pindarici appare l'intenzione di Poste di confrontarsi: accettiamo un tavolo, dicono, ma non deve riguardare solo gli appalti, bensì tutta la riorganizzazione del servizio postale. La risposta non tarda. No. Non siamo disposti a considerare questi lavoratori merce di scambio per una intesa più ampia. E proprio per questo non ci fermeremo.

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