Ci sono le bandiere, i fischietti, le magliette, ci sono i volti, che parlano da soli.
Ci sono soprattutto persone che da trenta anni svolgono questo lavoro impeccabilmente, ci sono persone, di qualsiasi età, che troveranno difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro, che saranno facile preda di una stagione di crisi ancora aperta e pronta a falciare vittime.
Poi ci sono i quadri dirigenziali di Poste Italiane.
Si vede, faticano a trovare dietro i numeri le persone. Sono lì fuori le persone. E qui davanti a voi, li vedete, ci sono. Il problema è sociale. Il progetto di Poste è macelleria sociale.
Viene detto, denunciato, da ognuno di noi vengono evidenziati punti differenti che compongono un quadro clinico, esatto, di una verità lampante: Poste ha necessità di usufruire della nostra manodopera, noi conosciamo il lavoro, e non siamo sostituibili da nuove assunzioni trimestrali, Poste deve rispettare le idee che erano alla base degli accordi presi e che prevedevano il mantenimento dei livelli occupazionali, Poste è un'azienda di azionariato statale, e come tale deve ragionare, senza creare cordoni assistenziali, ma tutelando l'occupazione. In ultimo, Poste Italiane ha un trend di crescita positivo, ed è discutibile che sia proprio il settore degli appalti una perdita.
In mezzo ai numeri e ai voli pindarici appare l'intenzione di Poste di confrontarsi: accettiamo un tavolo, dicono, ma non deve riguardare solo gli appalti, bensì tutta la riorganizzazione del servizio postale. La risposta non tarda. No. Non siamo disposti a considerare questi lavoratori merce di scambio per una intesa più ampia. E proprio per questo non ci fermeremo.
Nessun commento:
Posta un commento